La 30esima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, si terrà in Brasile, a Belém, dal 10 al 21 novembre, è prevista la partecipazione di 162 Paesi. La Cop30 segna il 20° anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto e il 10° anniversario dell’adozione dell’Accordo di Parigi, un importante momento di bilancio per la diplomazia climatica internazionale.

“Questo appuntamento si presenta con una forte impronta simbolica - afferma Francesco Turrà, responsabile Politiche ambientali Uisp - la location nella foresta amazzonica, polmone verde del mondo, è una scelta simbolica ma che contrasta con la realtà dei fatti, che vedono l’uomo accanirsi su quei territori da anni con coltivazioni intensive tese al solo profitto. In anni recenti la Cop è stata organizzata in Paesi in cui veniva utilizzata come puro e semplice greenwashing, questa volta tocchiamo un’altra questione fondamentale: parliamo di tutela degli ecosistemi in territori sfruttati e devastati. Sulla carta, come sempre, partiamo con le migliori intenzioni ma la domanda è: dove va la comunità internazionale? Oltre la forma, cosa riuscirà effettivamente a fare questo incontro? Al momento i contenuti sono ancora abbastanza fumosi, l’unica questione emersa è la possibilità di far pagare alle grandi multinazionali il costo della transizione energetica, senza però che le decisioni prese possano essere minimamente vincolanti per i Paesi partecipanti. Si tratta, infatti, della decisione di un organismo sovranazionale senza alcuna legittimità giuridica, un semplice strumento consultivo che per avere effetti diretti deve chiamare in causa i singoli governi”.
Belém, alla foce del Rio delle Amazzoni, infatti è sotto attacco da parte dell’agrobusiness, deforestazione e espansione dell’agricoltura industriale continuano a minacciare le comunità locali: solo il 2,8% dei finanziamenti climatici globali sostiene una transizione giusta, ovvero politiche che garantiscano ai lavoratori, alle donne e alle comunità più vulnerabili di non essere esclusi nella lotta alla crisi climatica. Serve un impegno globale e coordinato per garantire che la transizione ecologica sia davvero giusta, cioè che protegga diritti, redditi e prospettive di chi vive in prima linea la crisi climatica. ActionAid, ad esempio, chiede che la Cop30 adotti il “Belém Action Mechanism”, uno strumento per coordinare gli sforzi globali, condividere buone pratiche e sostenere concretamente Paesi e comunità colpite dalla crisi climatica. La transizione ecologica deve andare di pari passo con la tutela dei diritti, del lavoro e della dignità.
“Dobbiamo prendere consapevolezza che è indispensabile un cambio di stile di vita per attuare una concreta transizione ecologica - prosegue Turrà - possiamo prendere come paradigma l’approccio del progetto Uisp Tran-Sport, che promuove la transizione sportiva attraverso il coinvolgimento dei territori e l’utilizzo dello sport come leva per lo sviluppo sociale, economico e ambientale. Si tratta di una prassi concettuale che l’Uisp porta avanti a livello metodologico, promuovendo uno stile di vita orientato non alla performance e quindi al profitto, ma al benessere dell’individuo, della società e allo sviluppo della comunità. Il mondo però sembra andare da un’altra parte, basta pensare che il presidente della prima potenza mondiale ha escluso il suo Paese dagli accordi di Parigi. Il timore, quindi, è che tante belle promesse rimangono sulla carta e si torni ad una semplice operazione di greenwashing. Noi saremo in piazza sabato 15 novembre per il Climate pride, promosso da Legambiente, a cui abbiamo aderito convintamente insieme ad oltre 80 realtà nazionali. L’appuntamento è a Roma in piazzale Aldo Moro dalle 14: la manifestazione, organizzata come una festa di strada collettiva, metterà in discussione un sistema economico e produttivo che, alimentato dall’uso di fonti fossili, genera ingiustizie, conflitti e crisi ambientali”.